
Frieda

Frieda è un romanzo da centellinare per far assaporare appieno al lettore la raffinata eleganza della sua scrittura. Una scrittura che ad ogni passaggio ci sommerge di emozioni, le più diverse e complesse, come complesso è il percorso di vita dell’ io narrante. Sì, uno stupendo romanzo di formazione incastonato in un grandioso affresco storico, dove pare che gioie e dolori, speranze e delusioni, avventure e disavventure di Joachim von Tilly, il rampollo ribelle di una nobile e ricca famiglia tedesca, scorrano all’unisono con il grande fiume della Storia in cui sono immersi, scandiscano lo stesso tempo di quella contraddittoria spirale di progresso e caduta che da sempre ne segna il cammino. In una Capri dolcemente indolente, icona d’una Belle Epoque in cui aristocratici, ricchi imprenditori, artisti o pseudo tali trascorrono le loro giornate, il giovane Joachim incontra la travolgente vitalità dell’appassionata e anticonformista Frieda, già musa ispiratrice di D.H. Lawrence, e l’eclettico ed enigmatico Gustav, che cercano di mitigare la sua perenne malinconia, il suo “male di vivere”, iniziandolo ai piaceri del fisico e dello spirito. Comincerà per lui un pellegrinaggio attraverso le capitali europee dove l’arte e l’architettura che le abbelliscono –Jugendstil, liberty, art nouveau, modernismo – non sono solo stili artistici ma anche stili di vita: la Vienna, la Berlino, la Parigi, la Barcellona dello studio di giorno e delle tavernas di notte, ritrovo di artisti, di poeti e di donne. Ma comincia anche il lavoro vero: la faticosa eredità lasciatagli dal padre, gestire una delle più potenti acciaierie della Germania. E ben presto arriva il tempo del tramonto: il tramonto di un Impero, di un mondo, di un’epoca. La corsa agli armamenti, la guerra. Joachim si trova sempre più immerso in un lavoro che non lo soddisfa e in fughe, fisiche e metaforiche, che lo portano sempre più lontano. Frequenta amicizie artistiche, Klimt, Kokoschka, Schiele, i tre geni scandalosi della Secessione viennese, e politiche, quel Walther Rathenau che sarà ministro degli esteri nella Repubblica di Weimar, fra il primo e il secondo tragico tramonto: quello di una civiltà ad opera della barbarie nazionalsocialista. Nel mezzo, i ruggenti anni ’20, quando si ballava, incoscienti o volutamente inconsapevoli, sull’orlo dell’abisso (“Und wir tanzen, wir tanzen” scriverà Hannah Arendt). Sarà solo oltreoceano, in Argentina, che Joachim troverà risposta ai molti quesiti lasciati irrisolti in una storia che, malgrado tutto, gli appartiene. Il microcosmo fantasmagorico di un giovane costretto a diventare velocemente adulto nel macrocosmo, tra l’esaltante e il tragico, del nostro Secolo Breve.
Christophe Palomar, Frieda, Ponte alle Grazie, 2019, Euro 18,00