

Mi piacciono le storie, mi sono sempre piaciute. Fin da ragazzina mi incantavo a leggerle o ad ascoltarle e ancor oggi mi affascina chi le sa raccontare. Saper raccontare una storia è un’arte preziosa, a volte può essere un dono.
E un dono prezioso per il lettore è sicuramente “L’eterna gioventù”, ultima opera di Maurizio Maggiani; un dono che ha a che fare con la comprensione dell’altro, la condivisione, la speranza, e sì, anche con il sogno, l’utopia, ma soprattutto con la fiducia che quella piccola fiaccola che brilla fin dalle prime pagine del libro, quella luce che ti riscalda rimarrà sempre accesa, anche nei momenti più dolorosi e bui di questa storia, di ogni storia, alimentata dall’incessante “costanza e determinazione” di chi l’ha accesa, gli “eterni ribelli” del nostro Autore.
“Costanza e determinazione” sono le parole chiave del grande affresco storico/biografico, che ha inizio alla fine dell’800 e arriva ai giorni nostri e che dall’Italia si spinge fino all’altro capo del mondo, varca oceani e continenti, s’infila in guerre e rivoluzioni, avvicina Genova a New York, San Pietroburgo a Sidone. Un affresco che Maggiani traccia in forma di leggenda, sempre in equilibrio tra realtà e fiaba, e che ci trascina, assieme a questa sua dinastia di inguaribili sognatori, dall’Italia al Messico, dalla Russia al Libano, sulle ali della “Libertà”, della “Santa anarchia” : ma attenzione, una libertà concepita secondo il pensiero kantiano del “diritto a non ubbidire” laddove l’ubbidire prenda strade diverse rispetto all’etica, al sacrosanto principio dell’amore e del rispetto per il tuo prossimo, chiunque esso sia, diventa sopraffazione e ottusa violenza.
Figure note (splendido l’omaggio all’indimenticabile Pertini, ma anche a Emma Goldman, a Bresci, a Meucci e ad altri ancora) s’intrecciano a nomi e volti sconosciuti, da chi sta in cima a questo vecchio albero genealogico, il mitico Garibaldo che ha due amori, Garibaldi e la sua dolcissima moglie, la principessa russa Esfir, fuggita alla feroce repressione zarista del movimento anarchico-pacifista dei Duchobory e arrivata con una piccola valigia al porto di Genova, alla leggendaria figura dell’ultracentenaria “Canarina”, che conosce tutte le storie e tutto racconta all’amato pronipote, l’Artista . E’ lui che con estrema delicatezza le dipana, intersecando spazi e tempi e luoghi in un’elegia appassionata e dolce allo stesso tempo, vivace e avvincente, di uomini e ideali di cui si fa a sua volta testimone fino all’ultimo piccolo ramo spuntato dall’antico albero, il giovane nipote detto il Menin.
E chissà, forse lo scopo ultimo, il messaggio di quest’opera potrebbe leggersi come l’intento di “passare il testimone” ai tanti che oggi, nel buio dei “mala tempora” che stiamo attraversando, non sanno, non vogliono, non osano tenere accesa quella fiamma che riscalda mente e cuore di chi continua, con “costanza e determinazione” a coltivare ideali di giustizia e di libertà.