

“Nell’interpretare Montesquieu – scrive Diego Quaglioni nella prefazione all’edizione italiana dell’opera – Antonio Merlino ha scelto la sola via possibile, che è sempre quella del ritorno alla genuinità dei testi e delle fonti, a cominciare dalle Lettres Persanes”. Ne risulta un Montesquieu lontanissimo dalla stereotipia in cui tanta letteratura anteriore lo aveva fissato e perfettamente inserito, invece, nella fisionomia di un ‘classico del costituzionalismo moderno’. Ancora una citazione:
“La storia – il cui insegnamento è stato riconfermato nelle nostre scuole dopo un duro confronto con gli abolizionisti che ne sono usciti sconfitti – ritorna oggi, malgré tout, al centro di ogni discorso pro e contro l’Unione Europea, che più che mai riguarda noi tutti ed è di vitale interesse per i giovani che oggi intraprendono con spirito europeistico lo studio della filosofia del diritto, quei giovani cui Merlino dedica particolare attenzione” scrive di questo lavoro Carlo Amirante, Professore Emerito di Dottrina dello Stato e di Diritto Costituzionale presso l’Università Federico II di Napoli, dove Merlino ha fatto uno dei sue due dottorati di ricerca. Dalla sua ponderosa ricerca emerge infatti il significato precipuamente politico di un
Montesquieu precursore del costituzionalismo moderno, critico dell’assolutismo monarchico, di quella sovranità assoluta del Principe, “fonte del diritto politico e civile”, negatrice di ogni spirito di libertà e di ogni limite costituzionale all’accentramento dei poteri nelle mani del monarca. In definitiva, Montesquieu, fustigatore della degenerazione dispotica della monarchia e della crisi morale della Francia settecentesca, col principio della separazione-divisione dei poteri (una variante non solo linguistica) intendeva in modo lungimirante garantire soprattutto l’indipendenza dei giudici dal Sovrano e dal Governo. Siamo sicuri che oggi la questione stia proprio in questi termini? Eppure Montesquieu era stato chiaro!
Una serata indimenticabile, pensavo tra me e me mentre me ne tornavo a casa per le strade ormai quasi deserte di una città che di lì a poco completamente deserta lo sarebbe diventata. E pensavo alla straordinaria attualità della figura che di Montesquieu l’autore ci aveva tracciato, a quella sua modernissima intuizione sulla divisione dei poteri che mai avrebbero dovuto sovrastarsi a vicenda, a quella democrazia ante litteram, a quest’idea d’Europa così diversa da come l’avevamo immaginata… Pensavo ad un’altra serata di sei o sette anni prima, in cui proprio con lo stesso professor Rainer avevo avuto il piacere di presentare una raccolta di poesie di Merlino, pubblicata da Alpha Beta con titolo “Per i tuoi occhi di domenica” e a come ci fossimo trovati d’accordo nel constatare che, a differenza di quanto molti credono, ci fosse grande affinità fra diritto e poesia poiché, in ultima analisi, entrambi cercano la verità; o perlomeno, così dovrebbe essere.
E, spaventata e confusa per quanto ci stava accadendo, per quanto nel volgere d’un attimo si sarebbe abbattuto su tutti noi, riflettevo sul senso di un’intervista che una trentina d’anni prima avevo fatto a Brodskji: era caduto il muro di Berlino, stavano sorgendo le cosiddette “piccole patrie”, oscure forme di nazionalismo avanzavano, interrogato sull’argomento, la sua risposta fu lapidaria: “Affinché la Storia non crei danni, dovrebbe fare tre passi avanti e due indietro”. Già, ma questa risposta non potrebbe adattarsi anche alla nostra furiosa ansia di “progresso” ad ogni costo? E quanto caro paghiamo ora questo progresso? E quanto poco ascoltiamo le lezioni della Storia, quanto poco ci curiamo “delle fonti”?
Oggi, ripensando a quella serata che mi pare ormai così lontana, ritrovo il suo profumo intenso, quasi un presagio di primavera che mi accompagna leggero in questa lunga, lunga, lunga “primavera del nostro scontento”.