
Morte di un uomo felice di Giorgio Fontana

Giorgio Fontana, Morte di un uomo felice, Sellerio 2014
“Eccezioni sempre, dubbi mai”: questo il motto che accompagna il faticoso lavoro di Giacomo Colnaghi, giovane magistrato milanese chiamato ad indagare sugli omicidi che concludono il tragico periodo dei nostri anni di piombo, i più feroci. Motto cui, con grande umiltà, mi sentirei di aggiungere “colpa e perdono, e sempre, anche davanti agli assassinii più assurdi, la ricerca di un perché”.
“Conciliare la giustizia che amministra con l’esercizio della compassione”
La storia di Giacomo Colnaghi, il protagonista del romanzo pluripremiato di Giorgio Fontana, “Morte di un uomo felice”, è la storia di un uomo “buono e giusto” nel senso più alto e nobile dei termini, un cristiano vero, in cui senso etico e amore per la giustizia convivono con una pietas che sempre gli preme dentro, che lo spinge a riflettere, ad ogni nuovo svolgimento delle indagini, su possibilità e limiti della giustizia umana e su quella divina, che sa punire senza rinunciare alla carità.
Al suo lavoro dedica tutto se stesso, con totale abnegazione: lascia la famiglia al sicuro nella propria casa in Brianza, rifiuta la scorta, affitta un modesto appartamento in una zona periferica della città, proprio per essere più vicino, per meglio comprendere i problemi, le esigenze, le aspirazioni ma anche le delusioni, gli sconforti, le rabbie dei meno fortunati.
“Porgere l’altra guancia è per sorprendere anche chi l’ha colpito”
Ha per amico un vecchio ferroviere che incontra al bar del quartiere, assieme alle quattro chiacchiere che scambia con alcuni tramvieri, operai, piccoli artigiani che vivono nelle case popolari lì intorno. Nessuno di loro conosce la sua professione; nessuno sa di quella grande tristezza che non lo abbandona mai, del suo bisogno di immergersi nelle condizioni degli altri per “poter conciliare la giustizia che amministra con l’esercizio della compassione”. Nessuno sa delle solitarie camminate notturne lungo i viali deserti della sua città dopo le molte ore passate a sfogliare fascicoli, a interrogare indagati: placa per un po’ tristezza e solitudine ricordando i discorsi di lui adolescente con il parroco del suo oratorio, riflettendo sulla frase della nota biblista appena conosciuta “.il gesto del Cristo di porgere l’altra guancia è per sorprendere anche chi l’ha colpito”, pensando a quel padre che non ha avuto il tempo di conoscere bene ma che sente essere la persona forse da lui più amata.
“Die in injudging love”
Suo padre Ernesto, la cui storia scorre parallela alla sua nelle pagine del libro: un giovane, figlio di gente umile e di un cattolicesimo molto conformista, cui la famiglia non ha mai perdonato la scelta di unirsi ai partigiani, in nome di un ideale di libertà. Morirà durante un’azione partigiana, lasciando la giovane moglie con un bimbo piccolo, e solo per Giacomo resterà sempre un eroe.
Con una scrittura lucida, precisa, raffinata, a volte tagliente, a volte capace di momenti di intensa commozione e di profonda dolcezza, Fontana e i suoi protagonisti, Giacomo ed Ernesto, ci spingono a non poche riflessioni: esistono ideali giusti e non giusti, ideali per cui è lecito uccidere e normale venire uccisi? E valgono per tutti le parole di Dylan Thomas, che la biblista gli suggerisce:
And all your deeds and words,
Each truth, each lie,
Die in injudging love
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