
Pedro Luis Ladròn de Guevara – Marisa Madieri: Immagini di una biografia


Qui scriviamo di un’opera fuori dal comune, che tratta di una vita altrettanto fuori dal comune. Il testo di Pedro Luis Ladròn de Guevara, “Marisa Madieri: Immagini di una biografia”, edito da Aragno a fine dicembre del 2019, è senza dubbio, per completezza e rigore, un lavoro eccezionale, il giusto tributo ad una donna eccezionale. Sì, perché Marisa Magris Madieri era una creatura speciale. “E’” direbbe suo marito Claudio Magris, che dei suo “cari assenti” è solito parlare al presente: “la loro memoria è la mia identità, è ciò che oggi io sono diventato, loro camminano sempre con me assieme alle altre persone incontrate lungo la strada e che si sono unite a noi”.
E questo ampio, profondo bacino della memoria che l’Autore ha costruito ci restituisce Marisa in ogni sua peculiarità. Per chi, come me, l’ha conosciuta, è esaltante e commovente allo stesso tempo ritrovarne il sorriso, caldo, accogliente, spontaneo, risentirne la voce, capace di trasmettere insieme forza e dolcezza, quasi un soffio benefico che permeava chiunque l’avvicinasse, percepirne la serena energia che l’ha sempre guidata, la curiosità gioiosa, l’intensità con cui ha accolto ogni momento della sua vita, felice o doloroso che fosse. Perché per lei il vero senso della vita era nel suo modo generoso di esserne pienamente partecipe, un soggetto attivo nella misteriosa armonia dell’universo. L’Autore riproduce nel testo uno stralcio di una lettera che Marisa mi scrisse e un brano di una nostra conversazione; era l’agosto del ’93, la malattia l’aveva già colpita, ma: “Vacanze bellissime, un risarcimento per i patimenti dei mesi precedenti […] mi ha aiutato molto considerare la mia vita immersa in un tutto significativo, non disgiungere un faticoso presente da un ricco passato, essere comunque contenta di ciò che è stato e magari non sarà più”. E ancora, nel corso del nostro discorrere: “Non mi illudo di aver messo fine alla vicenda, ma ogni giorno, ogni ora di benessere strappato mi riempiono di gioia, che a sua volta prolunga il benessere”. L’isola felice delle sue vacanze è l’amata Cherso, là dove “se il cielo è sereno, scruto quella linea che congiunge i due infiniti d’azzurro che mi circondano e la sento irraggiungibile, eppure così vicina da poterla toccare, quasi fosse un laccio che mi circonda la fronte…vorrei diventare io stesso quella linea per svelare il mistero di ciò che sta oltre” scrive, riferendolo al vecchio del suo racconto “La Conchiglia” e noi capiamo – e ce lo spiega bene l’Autore – che in questa sorta di perfetta simbiosi con ogni altro regno del creato sta la sua totale fede nella vita, la sua accettazione di una fine vissuta in fondo come un ritorno, una normale metamorfosi.
Nel tracciarne la biografia, Pedro Luis Ladròn de Guevara ha indagato fin nelle più “segrete stanze”, ha scavato in archivi pubblici e privati, nelle case di amici e parenti, nelle diverse istituzioni che l’hanno ospitata, ha scovato foto e documenti inediti, ha esaminato lettere spedite e ricevute, appunti di Marisa e scritti su di lei o prefazioni a suoi testi del marito Claudio, oltre alle innumerevoli recensioni alle sue opere e ai convegni organizzati su di lei. Il libro è diviso in tre parti: nella prima l’Autore segue passo dopo passo la vita della sua protagonista; nella seconda ci parla diffusamente delle sue opere edite, “Verde acqua”, “La radura” e “Conchiglie e altri racconti”, dei molti lavori rimasti inediti o incompiuti, come il romanzo inedito “Maria”, dei suoi molti interventi su giornali e riviste o legati a dibattiti, convegni o presentazioni nei molti paesi stranieri in cui le sue opere sono state tradotte, o al suo ultimo lavoro di volontariato al C.A.V. (Centro di aiuto alla vita) di Trieste, che ha portato avanti fino ai suoi ultimi giorni. “Aveva lo stile discreto, gentile di chi ha sofferto, e della sofferenza propria aveva fatto motivo di gentilezza nei confronti degli altri, si era dedicata al volontariato: assistenza – per usare parole sue – a bambini rimasti al mondo, tra tante difficoltà, grazie anche alla solidarietà e all’amicizia degli altri” scrive di quella sua esperienza l’Autore e Magris titola “Aiutare a vivere, non solo a nascere” la sua prefazione al libro “Vite salvate. Testimonianze”, pubblicato sei anni dopo la sua morte. La terza parte è riservata a una preziosa e minuziosissima bibliografia di tutte le recensioni alle sue opere. Ed è significativo notare come le pagine scritte su di lei dai più importanti critici italiani e stranieri siano assai maggiori di quelle che Marisa stessa ha pubblicato Ma questo è solo uno degli aspetti del carattere di questa donna forte, coraggiosa, estremamente generosa che creerà fra lei e Claudio Magris, accanto all’indissolubile rapporto amoroso nato sui banchi del Liceo Dante di Trieste, un profondo e inalienabile sodalizio culturale, una perfetta simbiosi che – ricordiamo quanto il peso della memoria sia determinante per entrambi – Claudio porterà sempre con sé. Un sodalizio culturale che ha permesso loro di combattere insieme la terribile esperienza di Marisa di trovarsi appena quarantenne con un tumore al seno. Era il ’78 e l’Autore, rifacendosi ad una citazione cara a Magris, scrive: ”La vita le ha improvvisamente svelato il suo volto di Medusa, il volto che distrugge chi la guarda ma che lascia anche la sensazione di vuoto” e con molta delicatezza descrive i passaggi di quei momenti così intimi e delicati: “Marisa sente che è duro capire la caducità della vita. Lo sa, gliel’hanno detto tante volte in chiesa, nei libri… ma non si sente preparata, se non per sé, per i figli, per il marito, così forte visto da fuori ma così fragile per lei che lo conosce bene; e quindi lotterà, come ha sempre fatto, come hanno fatto tutte le donne della sua famiglia, diventerà Perseo e taglierà la testa di Medusa per continuare una vita tutta piena”. Ecco, il loro sodalizio sta proprio in quell’espressione tipicamente magrisiana di “una vita tutta piena” nel senso che entrambi danno al voler vivere “una vita vera, con tutto il suo incanto e il disincanto”, finché il male non avrà il sopravvento e questa sua vita straordinariamente intensa terminerà nel 96.
Volutamente l’Autore ha titolato il suo lavoro “Immagini di una biografia”: inserendo nel testo foto, documenti, riproduzioni di brani di entrambi e di altri, raccontando momenti di vita quotidiana, di vacanze felici o di viaggi e incontri significativi, (quello con Biagio Marin, considerato da Claudio suo padre putativo e suo mentore, al quale presenta la giovanissima e intimidita Marisa già intuendo che diventerà sua moglie e al quale dedicherà un libro, la famiglia Canetti, che diceva loro “La nostra identità è la nostra lingua”, Isaac Singer, per Magris uno dei più grandi scrittori del ‘900, accostato a Kafka e ai maggiori scrittori della letteratura russa dell’800, l’ebreo-bulgaro-milanese Moni Ovadia, cittadino del mondo), soffermandosi su episodi rilevanti, sia gioiosi che dolorosi, o descrivendo episodi a volte apparentemente poco significativi, disseminando le pagine di “indizi” egli ci regala ben più di una semplice biografia bensì l’immagine del mondo culturale che li accomuna. Sono due anime, entrambe con due patrie, il luogo natale e il luogo della cultura, il luogo fisico e quello dello spirito. Per Marisa, la sua Fiume, dove è nata e ha trascorso una felice infanzia e che ricorderà sempre con affetto e senza alcun rancore: “Io sono ancora quel vento delle rive, quei chiaroscuri delle vie, quegli odori un po’ putridi del mare” scrive in “Verde acqua”, ma anche, parlando delle sue “due patrie”: “quella italiana per lingua e cultura e quella croata, che è lo sfondo del mio paesaggio spirituale”. Per Claudio, la Trieste con il suo mare in cui immergersi “come nel liquido amniotico del grembo materno” – l’acqua sarà, come per Marisa, elemento costante della loro vita e della scrittura – ma anche la Trieste crocevia di lingue, di religioni, di razze, la Trieste delle “frontiere” che gli ricordano il suo amato Roth, lo scrittore che sente a lui più vicino e al cui mondo sente di appartenere, il Roth che scrive: “Dovevo accorgermi che perfino i paesaggi, i campi, le nazioni, le razze, le capanne e i caffè del genere più diverso e della più diversa origine devono sottostare alla legge del tutto naturale di uno spirito potente che è in grado di accostare ciò che è distante, di rendere affine l’estraneo e di conciliare l’apparentemente divergente”. O il Roth della “memoria”, (“Oggigiorno si vive solo della capacità di dimenticare alla svelta e senza esitazione”) uno dei “topoi” più frequenti nella scrittura di Claudio, che non può che condividere con Marisa, quando lei spiega il perché della sua scrittura così pulita, fatta quasi per sottrazione, di un non voler dire: “Io non ho alcuna ambizione di scrittrice, scrivo per raccontare ai miei figli, ai nipoti l’esodo, la vita nel Silos. Al raccontare la mia vita, io mi manifesto aldilà della morte, allo scopo di conservare quel capitolo prezioso che non deve scomparire. Voglio che questi fatti non vengano dimenticati, che la sofferenza degli esuli non scompaia nell’abisso della storia; scrivo per entrambe le mie due patrie”. Li accomuna anche la stessa idea del “tempo”: per il romanzo di Magris, “Tempo curvo a Krems” possono valere le stesse frasi che Giulio Nascimbeni ha usato – ce lo rammenta l’Autore – per “Verde acqua”, in cui Marisa intreccia passato e presente: “A lei interessa il qui e ora del ricordo: non soltanto, cioè, la cellula lontana, ma il senso della profondità del tempo che scorre senza soste, elusivo e immutabile, dagli ingialliti calendari al foglietto che abbiamo staccato questa mattina. Vengono in mente versi di Borges: “Siamo il nostro ricordo”. E dell’ineluttabilità del tempo, della caducità della vita, ma anche del suo continuo rigenerarsi, di un ciclo perenne che, come l’acqua, “può scorrere dalla sorgente alla foce e viceversa”, temi che appartengono al mondo culturale magrisiano e ricorrono costantemente nella sua scrittura, si tratta anche nella splendida favola “La radura”, di cui l’Autore ci riporta quanto detto dalla stessa Marisa: “Una metafora della vita narrata attraverso l’attenzione al minimo, a ciò che sta ai margini e alla periferia dei nostri interessi, attraverso l’attenzione all’incanto e alla sofferenza di ogni creatura”. Ma qui, proprio in queste “creature ai margini”, in queste piccole pietre abbandonate lungo la riva del grande corso della Storia ritroviamo il tema tutto mitteleuropeo di tante figure di Magris, il suo voler dare voce agli assenti, a coloro che ne sono stati privati, a quelli rimasti impigliati nei legacci di storie sbagliate, i suo vari Enrico Mreule, Vito Timmel, El Condor, Cippico, Jorgensen, Krasnov che ci hanno regalato pagine indimenticabili. Eppure non possiamo fare a meno di notare come queste sue creature sfortunate ben si apparentino con le piccole anime cui Marisa ha destinato tutta se stessa nell’opera di volontariato al C.A.V. di cui l’Autore ci ha dato notizia. Come le loro madri, che hanno potuto tenerle grazie alla sua straordinaria generosità, siano in carne e ossa le diverse Meryem, Mariza, Màrja delle storie di Claudio. Molto spesso, notiamo, i romanzi di Claudio sembrano intrecciarsi con le storie vere di Marisa: inconsapevolmente ce lo fa notare anche l’Autore quando, per parlare del suo “Verde acqua”, usa una frase di Maria Zambrano: “Non si scrive certamente per necessità letterarie, ma per la necessità che la vita ha di esprimersi”. E mai frase può risultare più vera per entrambi.
Pedro Luis LadrÓn De Guevara – Marisa Madieri. Immaginini di una biografia – Aragno – € 20,00
La ringrazio di cuore, Signor Ladron de Guevara, per il Suo aver tratteggiato compiutamente la figura della Signora Madieri.
Devo procurarmi il libro!
Con i più cordiali saluti
Enrico Bonaiti